LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                        Prima sezione penale 
 
    Composta da: 
        Antonella Patrizia Mazzei, Presidente; 
        Marco Vannucci; 
        Filippo Casa; 
        Giuseppe Santalucia, relatore; 
        Alessandro Centonze, 
ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da P. S. F.
nato a P....... il ......... avverso ordinanza del 17 settembre  2019
del Tribunale di sorveglianza di L'Aquila; 
    Udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Santalucia; 
    Lette le conclusioni del  PG  dottoressa  F.  Marinelli,  che  ha
concluso per il rigetto del ricorso. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.  Il  Tribunale  di  sorveglianza  di  L'Aquila  ha  dichiarato
l'inammissibilita'  della  richiesta  di   liberazione   condizionale
proposta da S. F. P. in  espiazione  della  pena  dell'ergastolo  con
isolamento diurno per anni uno con decorrenza dal 23  novembre  1999,
diretta ad ottenere la liberazione condizionale. 
    Con  precedente  ordinanza  del  6  novembre  2018  il  Tribunale
dichiaro' l'inammissibilita'  di  un'istanza  avente  ad  oggetto  la
declaratoria di impossibilita' della collaborazione in relazione alla
richiesta di fruizione di un permesso premio, a causa del  fatto  che
l'interessato non aveva addotto alcun elemento di novita',  utile  al
superamento di un giudicato gia' formatosi  per  precedenti  conformi
decisioni su analoghe richieste. 
    Quando,  come  nel  caso  in  esame,  il  titolo  esecutivo   sia
riferibile a delitti assolutamente ostativi ex art. 4 ord.  pen.,  la
liberazione condizionale puo' essere concessa  a  condizione  che  si
accerti la  collaborazione  o  l'impossibilita'/inesigibilita'  della
stessa. 
    Si deve allora rilevare che sull'assenza di collaborazione, e  di
un accertamento della impossibilita' o inesigibilita'  della  stessa,
si e' formato il cosiddetto giudicato esecutivo. In mancanza di nuovi
elementi, che non possono essere individuati nei recenti orientamenti
della giurisprudenza di legittimita' e di quella  sovranazionale,  la
richiesta non puo' essere esaminata nel merito,  per  la  preclusione
derivante dalle  precedenti  statuizioni  in  punto  di  assenza  del
requisito della collaborazione. 
    Non e' poi rilevante ed e' manifestamente infondata la  questione
di legittimita' costituzionale prospettata dalla difesa,  potendo  la
preclusione all'accesso alla liberazione condizionale essere superata
sol  che  l'interessato  collabori  o   si   accerti   che   la   sua
collaborazione sia impossibile o inesigibile. 
    2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di S.  F.
P., che ha  dedotto  vizio  di  violazione  di  legge  e  difetto  di
motivazione. Il provvedimento impugnato e' illegittimo, dato  che  il
giudice ha omesso  di  pronunciarsi  nel  merito,  in  forza  di  una
asserita preclusione, invero del tutto infondata. Non ha tenuto conto
delle sopravvenute indicazioni della  giurisprudenza  sovranazionale,
secondo cui il difetto di collaborazione non puo' essere  elevato  ad
indice invincibile di pericolosita' sociale. 
    Ha poi ignorato che la  liberazione  condizionale,  a  differenza
delle misure alternative alla detenzione, e'  causa  estintiva  della
pena che opera al decorso del termine prescritto e che e' in  stretta
correlazione con la finalita' rieducativa: dalla  natura  sostanziale
della diposizione in punto di liberazione  condizionale  discende  la
non applicabilita' della disciplina in punto di collaborazione. 
    Ha quindi trascurato  che  la  giurisprudenza  sovranazionale  ha
sancito l'illegittimita'  della  pena  perpetua  in  assenza  di  una
concreta possibilita' di liberazione,  affermando  l'incompatibilita'
dell'ergastolo ostativo con le  disposizioni  convenzionali;  e,  nel
dichiarare la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
costituzionale,   ha   omesso   di   dar   corso   ad   una   lettura
costituzionalmente orientata  della  normativa  denunciata,  che  e',
pertanto, contraria agli articoli 14 e 6 della Convenzione Edu e agli
articoli 3 e 111 della Costituzione. 
    3. Il procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta,
ha chiesto il rigetto del ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Il ricorrente si duole che il Tribunale  non  abbia  preso  in
esame il merito della richiesta per la  preclusione  derivante  dalla
disposizione normativa che,  in  assenza  di  collaborazione  con  la
giustizia, non consente alla magistratura di sorveglianza di valutare
la ricorrenza dei presupposti per la concedibilita' della liberazione
condizionale in  favore  dei  condannati  per  reati  rientranti  nel
catalogo di cui all'art. 4-bis, comma  1,  legge  n.  354  del  1975.
Ripropone  cosi'  il  tema,  censurando  la  decisione  di  manifesta
infondatezza della questione anche alla luce delle recenti evoluzioni
della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale. 
    Il dubbio di costituzionalita' ha ad oggetto la  disposizione  di
cui all'art. 2 del decreto-legge n.  152  del  1991,  convertito  con
modificazioni, dalla legge n. 203 del  1991,  che,  per  l'ammissione
alla liberazione condizionale dei condannati per uno dei  delitti  di
cui all'art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, legge n. 354 del 1975,
impone gli stessi requisiti previsti dal menzionato  art.  4-bis  per
l'accesso ai benefici penitenziari, e quindi, per quelli  di  cui  al
comma 1, la collaborazione con la giustizia ai sensi dell'art. 58-ter
della  stessa  legge  o,   in   alternativa,   l'accertamento   della
impossibilita' o della inesigibilita' della collaborazione. 
    2. Il Tribunale ha ricordato che in passato - con ordinanza del 6
novembre 2018 e, ancor prima,  con  ordinanza  del  14  maggio  2013,
quindi con  ordinanza  del  26  maggio  2015  e  successivamente  con
ordinanza del 24 ottobre 2017 - ebbe a rigettare  varie  istanze  del
ricorrente,  volte  all'accertamento   della   impossibilita'   della
collaborazione finalizzato alla concessione di permessi premio. 
    Con  la  prima  delle  ordinanze  il  Tribunale  escluse  che  in
riferimento alla condanna per il delitto  di  concorso  in  omicidio,
aggravato ai sensi dell'art. 7 della legge n. 203 del  1991,  di  cui
alla sentenza di condanna del 24 giugno 2005 della Corte di assise di
Palermo, confermata in appello e divenuta irrevocabile il 9  febbraio
2007, potesse  parlarsi  di  un  ruolo  partecipativo  di  S.  F.  P.
marginale; o che potesse affermarsi che le sue conoscenze del fatto e
del contesto criminale di riferimento fossero  limitate,  E  aggiunse
che il giudizio di cognizione  non  era  approdato  ad  un  integrale
accertamento, residuando la possibilita' di un'utile collaborazione. 
    Con  le  successive  ordinanze  si  limito'   a   prendere   atto
dell'assenza di elementi  sopravvenuti  capaci  di  far  superare  la
preclusione derivante dal primo rigetto. 
    3. L'ordinanza impugnata, pertanto, non  ha  valutato  il  merito
della richiesta, in ragione, se  cosi'  puo'  dirsi,  di  una  doppia
preclusione:  quella  derivante   dalle   precedenti   decisioni   di
inammissibilita'         dell'istanza         di         accertamento
dell'impossibilita'/inesigibilita' della  collaborazione;  e  quella,
principale, conseguente all'assenza di un requisito necessario - data
la natura del delitto oggetto della  condanna  in  esecuzione  -  per
l'accesso ai benefici penitenziari e, per  quel  che  ora  interessa,
alla liberazione condizionale: la collaborazione con la giustizia  ex
art.  58-ter  della  legge  n.  354  del  1975  o,   in   sua   vece,
l'impossibilita' o inesigibilita' della collaborazione. 
    4. F.  S.  P.  come  si  trae  dalle  indicazioni  dell'ordinanza
impugnata, sta espiando la pena dell'ergastolo con isolamento  diurno
per anni uno, in forza di un provvedimento  di  cumulo  in  cui  sono
comprese tre sentenze di condanna: 
        una prima, della Corte di assise di  appello  del  29  aprile
1988, divenuta irrevocabile il 28 aprile 1989,  che  ha  inflitto  la
pena di anni trenta di reclusione per i reati  di  omicidio,  tentato
omicidio, detenzione e porto illegale  di  armi,  anche  clandestine,
lesioni personali e rapina aggravata; 
        una seconda, del 16 luglio 2004 della  Corte  di  appello  di
Palermo, divenuta irrevocabile il 17 gennaio 2007, che ha irrogato la
pena di anni cinque e mesi quattro di  reclusione  per  il  reato  di
partecipazione ad un'associazione di tipo mafioso, commesso fino al 3
maggio 2000 in P........; 
        una terza, del 24  giugno  2005  della  Corte  di  assise  di
Palermo, divenuta irrevocabile il 9 febbraio 2007, che ha irrogato la
pena dell'ergastolo con  isolamento  diurno  per  anni  uno,  per  il
delitto di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 7 della legge n. 203
del 1991 e per reati concernenti  la  violazione  delle  disposizioni
sulle armi. 
    5. Quest'ultima condanna assume esclusivo rilievo  nella  vicenda
in esame, perche' ha inflitto la pena dell'ergastolo per  un  delitto
commesso avvalendosi delle condizioni di  cui  all'art.  416-bis  del
codice  penale  ovvero  al  fine  di  agevolare   l'attivita'   delle
associazioni  in  esso  previste,  secondo  la   formula   utilizzata
dall'art. 4-bis, comma 1, ord. pen. nel definire, almeno in parte, la
categoria di reati cosiddetti ostativi. 
    6. Gia' con l'ordinanza del 14 maggio 2013 il  Tribunale  rilevo'
che  tale  condanna  esauriva  il  tema  d'interesse  ai  fini  della
richiesta  di  permesso  premio   e   di   accertamento   incidentale
dell'impossibilita'    della    collaborazione,    avendo    ritenuto
integralmente espiate le pene irrogate con le altre due  sentenze  di
condanna comprese nel cumulo. 
    Va quindi evidenziato che, come si trae dall'ordinanza impugnata,
la pena dell'ergastolo e' in esecuzione dal 23 novembre 1999 e che F.
S. P. ha ottenuto la liberazione anticipata  per  complessivi  giorni
2655. 
    Secondo quanto previsto dall'art. 54, legge n. 354 del 1975, agli
effetti del computo della misura di pena espiata per l'ammissione  ai
benefici, ivi compresa  la  liberazione  condizionale,  si  considera
scontata la parte di pena detratta per liberazione anticipata, regola
questa che si applica anche ai condannati all'ergastolo. 
    Si rileva pertanto che, al momento della  impugnata  decisione  e
quindi al 17 settembre 2019, il ricorrente aveva espiato 19  anni,  9
mesi e 26 giorni di reclusione, con in piu', ai fini del computo  del
periodo di pena espiata, i giorni di liberazione anticipata, e quindi
con una complessiva espiazione  di  oltre  ventisette  anni  di  pena
detentiva;  e  che  il  termine  minimo  di  ventisei  anni,  imposto
dall'art. 176  del  codice  penale  per  l'accesso  alla  liberazione
condizionale di un  condannato  all'ergastolo,  era  gia'  ampiamente
decorso anche alla data di proposizione della richiesta, ossia al  1°
marzo 2019. 
    7. Dell'altro requisito  per  la  concessione  della  liberazione
condizionale,  ossia  del  sicuro  ravvedimento,  il   Tribunale   di
sorveglianza non si e' ovviamente occupato a causa della  preclusione
all'esame del merito. 
    La nozione di sicuro ravvedimento e' stata messa  a  fuoco  dalla
giurisprudenza di legittimita', che ha dato conto  della  consistente
differenza qualitativa dalla  ordinaria  buona  condotta  carceraria,
statuendo che «implica comportamenti positivi da cui  poter  desumere
l'abbandono delle scelte criminali, tra i  quali  assume  particolare
significato la fattiva volonta' del reo di eliminare o  di  attenuare
le conseguenze dannose del reato» - Sez. 1, n. 486 del  25  settembre
2015, dep. 2016, Caruso, Rv. 265471. 
    8. Il ricorrente, come risulta agli  atti,  ha  addotto  di  aver
preso parte in modo proficuo all'opera di rieducazione, di cui si  ha
conferma dai provvedimenti  di  liberazione  anticipata;  di  essersi
avvalso con profitto delle possibilita' di lavoro e di studio offerte
dai  programmi  di  trattamento  operativi  nei  vari   istituti   di
detenzione; di aver conseguito il titolo  di  agronomo  e  di  essere
stato inserito, con risultati positivi, in un progetto  agricolo;  di
aver frequentato assiduamente corsi di studio e di aver partecipato a
concorsi letterari con riconoscimento di premi. 
    Ha poi richiamato i contenuti della relazione di sintesi in cui -
secondo quanto prospettato - si da' atto della rivisitazione  critica
del suo vissuto e dell'avvenuto riconoscimento degli errori commessi,
con  parziale  ammissione  delle  proprie   responsabilita'   e   con
l'espressione della volonta' di allontanamento dal contesto mafioso. 
    Quanto all'adempimento delle obbligazioni  civili  derivanti  dal
reato, il Tribunale ha richiamato le  deduzioni  del  richiedente,  e
cioe' che e' nell'impossibilita'  di  soddisfare  quegli  obblighi  a
causa delle precarie condizioni in cui versa. 
    Tale ultimo profilo, che sarebbe da indagare anche alla luce  del
principio di diritto per il quale in ogni caso rilevano quegli  «atti
e comportamenti di concreta  apertura  e  disponibilita'  relazionale
verso i parenti  delle  vittime  dei  gravi  delitti  commessi»,  pur
quando il condannato sia privo di possibilita' economiche -  Sez.  1,
n. 45042 dell'11 luglio 2014, Minichini, Rv.  261269,  non  e'  stato
giocoforza  esplorato  dal  Tribunale.  E  cio'  al  pari  di  quelli
interessati dalle prospettazioni difensive  appena  prima  riassunte,
per la piu' volte menzionata preclusione all'esame del merito. 
    9.  Non  puo'  allora  negarsi  rilevanza   alla   questione   di
costituzionalita', perche' la dichiarazione di inammissibilita' della
richiesta di liberazione condizionale e'  stata  diretta  conseguenza
dell'applicazione dell'art. 2  del decreto-legge  n.  152  del  1991,
convertito con modificazioni con la legge n. 203  del  1991,  che  ha
precluso l'apprezzamento di quanto nel merito dedotto dal ricorrente,
che ha gia' trascorso piu' di ventisei anni di detenzione carceraria. 
    Come si dira' oltre, il dubbio di costituzionalita'  trova  causa
nel convincimento che la collaborazione non puo'  essere  elevata  ad
indice esclusivo dell'assenza di ogni legame con l'ambiente criminale
di appartenenza e che, di  conseguenza,  altri  elementi  possono  in
concreto essere validi e  inequivoci  indici  dell'assenza  di  detti
legami e quindi di pericolosita' sociale. 
    Di tali eventuali  altri  elementi  l'ordinanza  impugnata  e  le
prospettazioni  del  ricorrente  non  danno  pero'  indicazione;   in
particolare, non viene paventato che la  mancata  collaborazione  sia
conseguenza  di  personali  determinazioni  del  tutto  estranee   al
proposito di mantenere i collegamenti con il gruppo di appartenenza. 
    Cio' non priva di rilevanza la questione, nella  misura  in  cui,
ove fosse accolta, il giudice di merito, a cui  sarebbe  devoluto  il
giudizio - in  forza  dell'annullamento  dell'ordinanza  oggetto  del
ricorso  per  cassazione  ed  emessa  in  applicazione  della   norma
dichiarata illegittima - dovrebbe decidere sulla base di una  diversa
regola, che  consentirebbe  di  verificare  le  reali  ragioni  della
mancata collaborazione - v. Corte costituzionale n. 253 del 2019  che
ha ricordato che «il presupposto della rilevanza  non  si  identifica
con  l'utilita'  concreta  di  cui  le  parti  in  causa   potrebbero
beneficiare a seguito della decisione». 
    10. Oltre che  rilevante,  la  questione  e'  non  manifestamente
infondata. 
    Nel recente passato la Corte di  cassazione  e'  giunta,  per  il
vero, ad una diversa e opposta conclusione. Ha infatti affermato  che
«il  sistema  delineato  dall'ordinamento  penitenziario  vigente  in
materia di accesso ai benefici del detenuto in espiazione della  pena
dell'ergastolo per condanne relative a  reati  contemplati  dall'art.
4-bis ord. pen. (cosiddetto ergastolo ostativo) e' compatibile con  i
principi costituzionali e con quelli della conv. Edu, in  quanto,  in
caso di provato ravvedimento, il condannato puo' essere ammesso  alla
liberazione condizionale ex art. 176, comma terzo, del codice  penale
anche per i menzionati reati, in  relazione  ai  quali  la  richiesta
collaborazione  e  la  perdita  di  legami  con  il  contesto   della
criminalita'  organizzata  costituiscono  indici   legali   di   tale
ravvedimento.» (La S.C. in  motivazione  ha  precisato  che  cio'  e'
sufficiente - alla stregua dell'elaborazione giurisprudenziale  della
Corte Edu - ad escludere che il condannato sia privato in radice  del
diritto alla speranza) - Sez. 1, n. 7428 del 17 gennaio 2017,  Pesce,
Rv. 271399 e, prima, negli stessi termini Sez. 1,  n.  27149  del  22
marzo 2016, Viola, Rv. 271232. 
    La Corte  di  cassazione,  con  le  richiamate  pronunce,  si  e'
uniformata alle indicazioni date anni fa dalla Corte  costituzionale,
quando   dichiaro'   l'infondatezza   di   identica   questione   con
l'affermazione  che  la  preclusione  conseguente  alle  disposizioni
dell'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 non segue automaticamente
alla previsione  normativa,  derivando  piuttosto  dalla  scelta  del
condannato, che pur possa farlo, di non collaborare; e  aggiunse  che
la  censurata  disciplina   non   impedisce   in   maniera   assoluta
l'ammissione alla liberazione condizionale, essendo comunque data  al
condannato «la possibilita' di cambiare la propria scelta» - sentenza
n. 135 del 2003. 
    Il  fatto  quindi  che  il  condannato,   fuori   dei   casi   di
collaborazione impossibile  o  inesigibile,  possa  determinarsi,  in
forza di una sua personale scelta, alla  collaborazione  fa  si'  che
detta scelta si atteggi  a  criterio  legale  di  valutazione  di  un
comportamento  che  deve  necessariamente  concorrere  al   fine   di
accertare il sicuro ravvedimento - in tal modo  si  era  espressa  la
Corte costituzionale con la  sentenza  n.  273  del  2001,  pur  essa
dichiarativa dell'infondatezza della questione ora in rilievo.  Disse
ancora che il legislatore, non  irragionevolmente,  aveva  attribuito
alla collaborazione la valenza di  «criterio  di  accertamento  della
rottura dei collegamenti con la criminalita' organizzata», condizione
necessaria, seppure non sufficiente, per la valutazione  dell'assenza
di pericolosita' sociale e dei risultati del percorso  rieducativo  e
di recupero. 
    Di qui l'affermazione che l'atteggiamento  non  collaborativo  e'
nulla piu' di un «indice legale della  persistenza  dei  collegamenti
con la criminalita' organizzata e, quindi, della mancanza del  sicuro
ravvedimento  del  condannato»,  secondo  un  meccanismo   presuntivo
vincibile  le  volte   in   cui   si   accerti   l'impossibilita'   o
l'inesigibilita' della collaborazione non prestata. 
    11.  Per  tale  via  -  nonostante  l'inasprimento  penitenziario
collegato alla stagione dell'emergenza mafiosa dei primi anni novanta
del secolo scorso - fu possibile  evitare  che  l'ergastolo  ostativo
fosse collocato fuori dell'area in  cui  operano  le  condizioni  che
assicurano alla pena perpetua compatibilita' costituzionale, in  gran
parte  incentrate  proprio  sulle  possibilita'   di   accesso   alla
liberazione condizionale che, in forza della legge 25 novembre  1962,
n. 1634, fu estesa ai condannati all'ergastolo proprio in  attuazione
dei principi di umanizzazione delle pene e di rieducazione  stabiliti
dall'art. 27, comma terzo, della Costituzione. 
    11.1. Gia' con la sentenza n. 264 del  1974,  infatti,  la  Corte
costituzionale aveva  osservato  che  era  proprio  l'istituto  della
liberazione  condizionale  a  consentire  l'effettivo   reinserimento
sociale anche dell'ergastolano - pur premettendo, in conformita' alla
cosiddetta teoria polifunzionale della  pena,  che  l'art.  27  della
Costituzione non aveva proscritto la pena dell'ergastolo  consentendo
al  legislatore  ordinario  di  valutarne  l'indispensabilita'   come
«strumento di intimidazione per individui insensibili a  comminatorie
molto gravi» o di isolamento di criminali spiccatamente pericolosi. 
    La risocializzazione, del resto, non puo' non riguardare anche  i
condannati alla pena  perpetua:  essa  qualifica  una  finalita'  che
l'ordinamento persegue, in  conformita'  all'art.  27,  comma  terzo,
della Costituzione, anche per tale categoria di condannati, come anni
dopo  la   Corte   costituzionale   ammoni',   aggiungendo   che   la
recuperabilita'  sociale  di  costoro  per  mezzo  della  liberazione
condizionale aveva segnato una rilevante svolta della legislazione  -
sentenza n. 274 del 1983, che dichiaro' l'illegittimita' dell'art. 54
della legge n. 354 del 1975, per contrasto con gli articoli  3  e  27
della Costituzione, nella parte in cui non prevede la possibilita' di
concedere al  condannato  all'ergastolo  la  riduzione  di  pena  per
liberazione anticipata, ai soli  fini  del  computo  della  quantita'
cosi' detratta dalla porzione scontata,  richiesta  per  l'ammissione
alla liberazione condizionale. 
    11.2 Ancora successivamente la Corte costituzionale preciso'  che
la «liberazione condizionale e' l'unico istituto che in virtu'  della
sua  esistenza  nell'ordinamento  rende  non  contrastante   con   il
principio  rieducativo,  e  dunque  con  la  Costituzione,  la   pena
dell'ergastolo». Il carattere perpetuo di detta pena, chiari', non e'
legato ad una preclusione assoluta dell'ottenimento, a condizione che
risulti un sicuro ravvedimento  -  sentenza  n.  161  del  1997,  che
dichiaro'  l'illegittimita'  dell'art.  177,  primo   comma,   ultimo
periodo, del codice penale, per l'omessa previsione che il condannato
alla pena dell'ergastolo,  cui  sia  stata  revocata  la  liberazione
condizionale, possa essere nuovamente ammesso al beneficio sempre che
ne ricorrano i presupposti. 
    12.  Questa  impostazione  dei  rapporti  tra  pena  perpetua   e
liberazione  condizionale   ha   avuto   positivo   riscontro   nella
giurisprudenza sovranazionale.  La  Corte  Edu,  infatti,  ha  sempre
ammesso la compatibilita' convenzionale della pena perpetua, si' come
configurata anche nel nostro ordinamento per mezzo di istituti che la
rendono sostanzialmente temporanea - in particolare,  la  liberazione
condizionale,  osservando  che  la  Convenzione  non   proibisce   la
comminatoria dell'ergastolo  per  crimini  particolarmente  gravi,  a
condizione che siano rispettate le garanzie dell'art. 3, e sia quindi
riducibile de iure e de facto, nel senso che deve essere accompagnato
da una prospettiva di liberazione e dalla possibilita' di un  riesame
che  consenta  di  verificare  se,  durante  l'esecuzione,  si  siano
ottenuti  significativi  progressi  trattamentali,  si'  che  nessuna
ragione  possa  giustificare   seriamente   la   prosecuzione   della
detenzione - tra le altre, Corte Edu, sentenza Garagin contro Italia,
2008; sentenza Kafkaris contro Cipro, 2008; sentenza Vinter  e  altri
contro Regno Unito,  2013;  sentenza  Gurban  contro  Turchia,  2015;
sentenza Murray contro Olanda 2016; sentenza Hutchinson contro  Regno
Unito, 2017; sentenza Petukhov contro Ucraina, 2019. 
    13. L'esistenza, invece, di preclusioni assolute all'accesso alla
liberazione condizionale si  risolve  in  un  trattamento  inumano  e
degradante, soprattutto ove si evidenzino  progressi  del  condannato
verso la risocializzazione; e cio' perche', in tal modo, il  detenuto
viene privato del diritto alla speranza. 
    Come la Corte Edu - sentenza Vinter e altri contro  Regno  Unito,
2013 - ha messo in  luce,  la  speranza  inerisce  strettamente  alla
persona umana e anche gli individui che si sono resi responsabili dei
crimini  piu'  odiosi  conservano  la  loro  umanita'  e  quindi   la
possibilita' di cambiare e di reinserirsi nella societa' aderendo  al
sistema di valori condiviso. 
    Se si impedisse a costoro di coltivare la speranza di un riscatto
dall'esperienza criminale che li ha consegnati alla pena perpetua, si
finirebbe col negare un aspetto fondamentale della loro umanita',  si
violerebbe il  principio  della  dignita'  umana  e  quindi   li   si
sottoporrebbe ad un trattamento degradante. 
    14. In riferimento alla figura dell'ergastolo  ostativo,  proprio
dell'ordinamento italiano, la Corte Edu ha invece di recente  escluso
che il giudizio di compatibilita' con i principi convenzionali - piu'
volte affermato in riguardo all'ergastolo comune -  possa  essere  ad
esso trasposto  facendo  leva  sulla  possibilita'  di  accesso  alla
liberazione condizionale sol che l'interessato scelga  la  via  della
collaborazione con la giustizia. 
    Con la sentenza Viola contro Italia,  divenuta  definitiva  il  7
ottobre  2019 -  dopo  aver  riconosciuto  che  la  preclusione  alla
liberazione condizionale di un condannato per taluno dei  delitti  di
cui  all'art.  4-bis  della legge  n.  354  del  1975  non   consegue
automaticamente alla condanna, come e', invece, in altri ordinamenti:
cfr., Corte Edu, sentenza Ocalan  contro  Turchia,  2014  - la  Corte
europea ha individuato il tema centrale nel valutare se le  finalita'
di politica criminale perseguite per  mezzo  della  previsione  della
necessita' della collaborazione (fuori dei  casi,  ovviamente,  della
impossibilita'  o  inesigibillta'  della   stessa)   costituisca   un
sacrificio eccessivo delle prospettive di liberazione del  condannato
all'ergastolo e della possibilita' che questi chieda il riesame della
pena. 
    E a tal proposito ha osservato che non puo' non dubitarsi sia del
fatto che il sistema assicuri la liberta' della scelta  collaborativa
che della plausibilita' dell'equivalenza  normativa  tra  assenza  di
collaborazione e pericolosita'; e quindi di  entrambe  le  condizioni
che   potrebbero   legittimare   un   giudizio   di    compatibilita'
convenzionale dell'ergastolo ostativo. 
    Ha quindi aggiunto che la mancanza  di  collaborazione  non  puo'
sempre essere  ricondotta  ad  una  scelta  libera  e  volontaria  o,
comunque, al fatto  che  siano  mantenuti  i  legami  con  il  gruppo
criminale di appartenenza. Ed ha rilevato  che  non  puo'  escludersi
che, nonostante la  collaborazione  con  la  giustizia,  non  vi  sia
dissociazione effettiva dall'ambiente criminale, perche' la scelta di
collaborare ben puo'  essere  soltanto  opportunistica,  compiuta  in
vista del conseguimento dei vantaggi che ne derivano. 
    Se la collaborazione viene intesa come l'unica forma possibile di
manifestazione della rottura dei legami criminali - ha proseguito  la
Corte Edu - si trascura la  considerazione  di  quegli  elementi  che
fanno  apprezzare  l'acquisizione  di  progressi  trattamentali   del
condannato all'ergastolo nel suo percorso di reinserimento sociale  e
si omette di valutare che la  dissociazione  dall'ambiente  criminale
ben puo' essere altrimenti desunta. 
    La presunzione assoluta di pericolosita' insita nella mancanza di
collaborazione e' dunque d'ostacolo alla possibilita' di riscatto del
condannato  che,  qualunque  cosa  faccia   durante   la   detenzione
carceraria, si  trova  assoggettato  a  una  pena  immutabile  e  non
passibile di controlli, privato di un giudice che possa  valutare  il
suo percorso di risocializzazione. 
    La conclusione e' stata duplice: l'ergastolo  ostativo  non  puo'
essere definito pena  perpetua  effettivamente  riducibile  ai  sensi
dell'art. 3 della Convenzione; la  situazione  esaminata  rivela  «un
problema  strutturale»,   legato   alla   presunzione   assoluta   di
pericolosita' fondata sull'assenza di collaborazione,  meritevole  di
una iniziativa riformatrice in modo che sia garantita la possibilita'
di un riesame della pena. 
    15. Alcune considerazioni della Corte Edu erano state gia' svolte
dalla Corte costituzionale molti anni prima, quando affermo'  di  non
poter non convenire  con  giudici  remittenti  sull'assunto  che  «la
condotta di collaborazione ben puo' essere frutto di mere valutazioni
utilitaristiche in vista dei vantaggi che la legge vi connette, e non
anche segno di effettiva risocializzazione»; e riconobbe  che  «dalla
mancata collaborazione non puo'  trarsi  una  valida  presunzione  di
segno contrario, e cioe' che essa sta indice univoco di  mantenimento
dei legami di  solidarieta'  con  l'organizzazione  criminale:  tanto
piu', quando l'esistenza di collegamenti con quest'ultima  sia  stata
altrimenti esclusa» - sentenza n. 306 del 1993. 
    16. Ben piu' di recente la Corte costituzionale e' ritornata  sul
tema. Con la sentenza n. 253 del 2019 - prima richiamata: v. par. 9 -
la Corte ha confermato, si' come  evidenziato  dalla  Corte  Edu,  il
carattere assoluto della presunzione di mantenimento dei collegamenti
con l'organizzazione criminale del detenuto che non collabori  e,  in
ragione di tale carattere, ha ritenuto l'esistenza  di  un  contrasto
con  gli  articoli  3  e  27  della  Costituzione   dell'art.   4-bis
della legge n. 354 del 1975,  nella  parte  in  cui  esclude  che  il
condannato all'ergastolo ostativo, che non abbia  collaborato,  possa
essere ammesso alla fruizione dei permessi premio. 
    Le argomentazioni contenute in detta sentenza, benche' essa abbia
avuto ad oggetto soltanto - negli stretti limiti della devoluzione  -
il tema della concedibilita' dei  permessi  premio  e  non  di  altri
benefici, costituiscono, unitamente alla sentenza Viola contro Italia
della Corte Edu, un importante banco di prova su  cui  verificare  se
possa ancora dirsi valido il pregresso orientamento  della  Corte  di
cassazione,  in  esordio  citato,  che  ha  ritenuto   manifestamente
infondata la questione ora in rilievo. 
    17.  Ha  affermato  la  Corte  costituzionale  che  l'assenza  di
collaborazione  con  la  giustizia  non   puo'   risolversi   in   un
aggravamento delle modalita' di esecuzione della pena. 
    Contrasta infatti con gli articoli 3 e  27,  comma  terzo,  della
Costituzione  il  collegamento   della   preclusione   alla   mancata
partecipazione  attiva  alle  finalita'  di  politica   criminale   e
investigativa dello Stato.  Esse,  plasmando  la  disciplina  di  cui
all'art. 4-bis della legge n. 354 del  1975,  hanno  trasfigurato  in
maniera deformata la liberta' di non collaborare, che non puo' essere
disconosciuta ad alcun detenuto. 
    17.1. Altra ragione di contrasto con l'art. 27,  comma  3,  della
Costituzione e' diretta conseguenza della inevitabilita', in  assenza
del   requisito    della    collaborazione,    della    dichiarazione
dell'inammissibilita'  delle  richieste  di  benefici   -   e,   puo'
aggiungersi,  per  quel  che   ora   interessa,   della   liberazione
condizionale - senza  alcuna  possibilita'  per  la  magistratura  di
sorveglianza  di  procedere  ad  una  valutazione  del  merito  delle
richieste. 
    A tal proposito occorre rammentare che il sicuro ravvedimento, al
di la' di come si voglia inquadrare dommaticamente  l'istituto  della
liberazione  condizionale,  oggetto   dell'accertamento   giudiziale,
rimanda  al   riscontro   in   concreto   di   importanti   traguardi
trattamentali, tali da consentire «il  motivato  apprezzamento  della
convinta revisione critica delle scelte criminali di vita anteatta  e
la formulazione -  in  termini  di  certezza,  ovvero  di  elevata  e
qualificata probabilita' confinante con la certezza -  di  un  serio,
affidabile  e  ragionevole   giudizio   prognostico   di   pragmatica
conformazione della futura condotta di vita del condannato al  quadro
di riferimento ordinamentale e sociale...» - Sez. 1, n. 18022 del  24
aprile 2007, P.G. in proc. Balzerani, Rv. 237365; Sez. 1, n. 9001 del
4 febbraio 2009, P.G. in proc. Mambro, Rv. 243419; Sez. 1,  n,  34946
del 17 luglio 2012, Somma, Rv. 253183. 
    17.2.  V'e'  poi  il   profilo   della   incompatibilita'   della
presunzione assoluta di  permanenza  dei  legami  criminali  con  una
caratteristica propria della fase esecutiva, ossia col fatto  che  il
trascorrere  del  tempo,  durante  la  lunga  detenzione,  ben   puo'
determinare  trasformazioni  rilevanti  sia  della  personalita'  del
soggetto ristretto che del contesto esterno al carcere. 
    In riferimento, dunque, alla espiazione della pena, specie se  di
lunga durata,  presunzioni  di  tal  fatta  non  possono  che  essere
relative,  dovendo  sempre  ammettersi   la   possibilita'   di   una
valutazione  in  concreto  dell'incidenza   avuta   dal   trattamento
penitenziario sulla personalita' del detenuto, proprio in conformita'
alle previsioni di cui all'art. 27, comma 3, della Costituzione. 
    18.  Le  evoluzioni  della  giurisprudenza  costituzionale  e  la
posizione della Corte Edu sull'ergastolo ostativo inducono a ritenere
non manifestamente infondata la questione di costituzionalita'  della
normativa, perche' si sostanzia in una irragionevole compressione dei
principi di individualizzazione e di progressivita' del trattamento. 
    Le finalita' di politica criminale e di difesa  sociale,  sottese
alla presunzione assoluta di mantenimento  dei  collegamenti  con  il
gruppo  di  appartenenza,  collidono  -  in  misura  che   non   pare
tollerabile - con la finalita' rieducativa  che,  come  pacificamente
riconosciuto - v. Corte costituzionale sentenza n. 313 del 1990 -, e'
«una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la  pena
nel suo contenuto  ontologico,  e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta previsione normativa, fino  a  quando  in  concreto  si
estingue». 
    Perplessita' sulla tenuta costituzionale dell'impianto  normativo
furono manifestate tempo addietro dalla Corte costituzionale,  quando
riconobbe che la soluzione normativa di inibire l'accesso alle misure
alternative alla detenzione per i condannati  per  determinati  gravi
reati - di cui pure non dichiaro' l'illegittimita'  -  aveva  causato
«una rilevante compressione della finalita' rieducativa della  pena»,
in dissonanza dai principi di proporzione  e  di  individualizzazione
della pena  lungo  una  preoccupante  direttrice  di  «configurazione
normativa di tipi di autore, per i quali la rieducazione non  sarebbe
possibile o potrebbe non essere perseguita» -  sentenza  n.  306  del
1993. 
    19. Quelle perplessita' ricevono  nuovo  vigore  dalla  pronuncia
della Corte Edu nel caso Viola contro  Italia,  che  ha  rilevato  la
necessita', dato  il  carattere  strutturale  del  problema,  di  una
riforma, ponendo quindi il tema della compatibilita' della  normativa
interna con la Convenzione, si' come interpretata  dalla  Corte  Edu,
alla luce del parametro costituzionale dell'art. 117. 
    Essa, e non e' particolare trascurabile, ha preso  in  esame  una
vicenda  pienamente  sovrapponibile  a  quella  oggetto   di   questo
procedimento. In quell'occasione il ricorrente, condannato alla  pena
dell'ergastolo anche per il delitto di omicidio  aggravato  ai  sensi
dell'art. 7 del decreto-legge n. 152 del  1991,  aveva  chiesto  piu'
volte di fruire di permessi  premio,  ma  le  richieste  erano  state
respinte per assenza del requisito della collaborazione; aveva  anche
chiesto di essere ammesso alla  liberazione  condizionale,  adducendo
numerosi e consistenti progressi trattamentali  e  il  riconoscimento
della liberazione anticipata per ben 1600  giorni  al  momento  della
domanda, ma il Tribunale di sorveglianza aveva opposto, come elemento
impeditivo, l'assenza di collaborazione con la giustizia. 
    19.1.  Le  perplessita'  sono  ulteriormente   rafforzate   dalla
considerazione della decisione n. 253  del  2019  con  cui  la  Corte
costituzionale ha fatto cadere la preclusione  alla  concessione  dei
permessi premio per difetto di collaborazione con la giustizia. Oltre
a quanto  gia'  ricordato,  va  in  conclusione  evidenziato  che  il
superamento della presunzione assoluta  -  di  collegamento  con  gli
ambienti criminali di appartenenza - in vista della decisione  su  un
primo stadio della  progressivita'  trattamentale,  vedrebbe  scemata
gran parte del suo significato sistematico se per le ulteriori  tappe
del percorso di risocializzazione dovesse  invece  valere  ancora  la
preclusione ad una considerazione individualizzata del  comportamento
e della personalita' del condannato. 
    20. E' dunque  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  con
riferimento  agli  articoli  3,  27  e  117  della  Costituzione,  la
questione di legittimita' costituzionale degli articoli 4-bis,  comma
2, e  58-ter  della  legge  n.  354  del  1975,  e  dell'art.  2  del
decreto-legge n. 152 del 1991, convertito, con  modificazioni,  nella
legge n. 203 del 1991, nella parte in cui escludono che il condannato
all'ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle  condizioni  di
cui all'art. 416-bis del codice penale ovvero al  fine  di  agevolare
l'attivita' delle  associazioni  in  esso  previste,  che  non  abbia
collaborato con la giustizia, possa essere ammesso  alla  liberazione
condizionale. 
    A norma dall'art. 23 della legge  11  marzo  1953,  n.  87,  deve
essere dichiarata  la  sospensione  del  presente  procedimento,  con
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    La Cancelleria provvedera' alla notifica di copia della  presente
ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio  dei  ministri;  e
alla comunicazione ai presidenti del Senato della Repubblica e  della
Camera dei deputati;